Gli acquisti si fanno sempre più spesso su internet e chi oltrepassa la vetrina – senza l’intenzione di provare per poi acquistare online – è egli stesso una “merce rara” da trattare coi guanti di velluto. Proprio dal confronto però con la normativa applicabile alle compere fatte su internet derivano i principali equivoci, in particolare per quanto riguarda il reso: si può, ad esempio, restituire un prodotto acquistato in negozio con la stessa facilità con cui è possibile esercitare il «diritto di recesso» quando si fa un ordine da un sito o su Amazon? Esiste il diritto di ripensamento al negozio? Come funziona il reso quando non si compra online? Cosa prevede la garanzia e a cosa è subordinata?
La legge prevede due discipline diverse per situazioni che sono tra loro sostanzialmente differenti: chi compra online non ha la possibilità di visionare il bene prima di concludere il «contratto» al pari di chi, invece, si reca in negozio, e pertanto non realizza un acquisto consapevole. I sensi come la vista e il tatto sono sicuramente il primo banco di prova per poter valutare la convenienza di un affare e – non c’è che dire – su internet le foto sono fatte ad arte per attirare l’attenzione. Ma quante volte il consumatore è rimasto poi deluso? Ecco perché, per tutti gli acquisti fuori dai locali commerciali (quindi fatti online, tramite televendite, con promozioni telefoniche o porta a porta) esiste la possibilità di «ripensamento»: entro 14 giorni l’acquirente può restituire la merce senza dover spiegarne le ragioni (che potrebbero risiedere anche in un semplice capriccio personale o nell’aver trovato nel frattempo un affare più conveniente). È il cosiddetto diritto di recesso che può essere esercitato anche se il prodotto è stato aperto e usato. In buona sostanza, basta inviare una comunicazione formale al venditore con cui si manifesta l’intenzione di restituire la merce acquistata e di ottenere il rimborso dei soldi pagato. Il commerciante non può opporre alcuna limitazione o restrizione, né chiedere che le spese di spedizione siano a carico del consumatore.
Chi compra al negozio o in una fiera non ha diritto al ripensamento. Per cui egli ha la possibilità di restituire il prodotto solo in due casi: difetto di costruzione o sopravvenuta rottura o danneggiamento di una componente.
Il primo caso si verifica quando, all’esito dell’utilizzo, la merce dimostra di non funzionare correttamente: il vizio dunque si presume già sussistente all’atto dell’acquisto, per un difetto probabilmente di fabbrica o di conservazione del bene.
Il secondo caso invece si ha quando, nel corso del tempo, il prodotto si guasta per cause non imputabili all’acquirente.
Uno dei due casi in cui il negoziante è invece obbligato ad accettare il reso è nel caso di prodotti difettosi. Se il problema si manifesta subito o comunque nei primi sei mesi dall’acquisto, il difetto si presume già esistente all’atto dell’acquisto e non spetta al compratore dimostrare che non è dipeso da lui.
Il difetto deve essere denunciato al venditore entro due mesi da quando ci si accorge del difetto e comunque non oltre due anni. Se invece l’acquisto è stato fatto da un soggetto che non agisce come consumatore (quindi su richiesta di fattura e con partita Iva), la denuncia del vizio fa fatta entro otto giorni. L’acquirente può chiedere, a sua scelta, o la riparazione o la sostituzione dell’oggetto. Se tuttavia tanto la riparazione quanto la sostituzione sono impossibili (ad esempio perché non ci sono più pezzi di ricambio o lo stesso oggetto non è più in produzione) o troppo gravose per il venditore o se il venditore non ha riparato l’oggetto entro un termine congruo, allora l’acquirente può scegliere tra altri due rimedi: una riduzione del prezzo proporzionale alla diminuzione del valore del bene (chiaramente, se ha già pagato, gli sarà dovuta la restituzione dei soldi in più) oppure la risoluzione del contratto, ossia lo scioglimento della vendita (in questo caso si ha diritto alla restituzione dei soldi spesi dietro restituzione dell’oggetto acquistato). Questi obblighi spettano al venditore che non può scaricare la patata bollente sul produttore. Non può cioè dire all’acquirente di spedire la merce alla casa madre affinché sia quest’ultima ad effettuare la riparazione o la sostituzione. Nei confronti del consumatore, infatti, il diretto responsabile è sempre il venditore.
La seconda tutela che spetta all’acquirente è la garanzia per guasti verificatisi dopo l’acquisto e l’utilizzo. Si pensi a un oggetto che, inizialmente funzionante, dovesse rompersi dopo qualche mese per ragioni non imputabili all’uso fattone dal compratore. La legge stabilisce che è dovuta sempre una garanzia di due anni (a meno che l’acquisto non sia avvenuto con partita Iva ossia con rilascio di fattura, nel qual caso la garanzia è di 1 solo anno). Anche in questo caso, come nel precedente, bisogna denunciare il difetto entro 60 giorni dalla scoperta e si ha diritto, alternativamente, alla sostituzione o riparazione oppure, se queste risultano impossibili o troppo gravose, alla riduzione del prezzo o al rimborso integrale dei soldi spesi.
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